Così mentre nella mediazione tipica il diritto alla provvigione sorge ex art. 1755 c.c. (il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo intervento), nella mediazione atipica sorge automaticamente solo nei confronti della parte che ha conferito l'incarico ex artt. 1709 e 1720 c.c., configurandosi più come una retribuzione relativa all'incarico affidato al mediatore.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi in merito alla questione della provvigione nella mediazione atipica, ha confermato la possibilità che tale diritto possa insorgere anche in tale situazione.
Nello specifico, con la Sentenza n. 29287 del 2018 ha sottolineato che la sussistenza di un contratto di mandato a vendere non esclude ipso facto il diritto alla provvigione nei confronti della controparte: la circostanza che la mediazione sia il frutto non di spontanea attività del mediatore bensì di un impulso di una delle parti non ha alcuna rilevanza di per sé.
Dice la menzionata sentenza che ciò che è decisivo non è tanto l'imparzialità del suo operare (del mediatore) quanto la riconoscibilità esterna della posizione terza che egli assume nel successivo rapporto con entrambe le parti.
Non è assolutamente da escludere che il procacciatore d'affari incaricato da una delle parti di trovare un acquirente (o un venditore) possa agire come mediatore e di conseguenza possa avere diritto, oltre che al compenso pattuito, anche alla provvigione dalla controparte della quale abbia comunque curato gli interessi.
Ancora la Suprema Corte sottolinea che "occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell'attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non ha conferito l'incarico" (Cass. Civ., Ord. n. 26682/2020).
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